A partire dal 1° gennaio 2020, hanno debuttato gli accertamenti esecutivi nel campo delle entrate comunali. Si tratta di una importante novità, recata nella legge di Bilancio 2020 (legge n. 160/2019), che modifica le prassi degli enti impositori e degli operatori, avvicinandole a quelle valevoli per i principali tributi erariali. La principale caratteristica del nuovo strumento è rappresentata dalla concentrazione in un unico atto della funzione accertativa e della qualifica di titolo esecutivo, strettamente correlata all’attivazione delle procedure di recupero coattivo. Da ora in poi, quindi, una volta notificato l’accertamento esecutivo, per poter procedere alla riscossione forzata delle somme ivi riportate non sarà più necessario notificare la cartella di pagamento o l’ingiunzione fiscale, poiché il carico affidato al riscossore locale potrà essere messo in esecuzione, decorsi i termini di legge e previo assolvimento di taluni oneri informativi a carico dell’ente impositore. Le entrate interessate sono la totalità dei tributi nonché le entrate patrimoniali. Per queste ultime, l’atto al quale si ricollega la qualità di titolo esecutivo è il documento di riscossione. Secondo l’interpretazione ufficiale, le multe per violazioni al Codice della strada non dovrebbero rientrare nell’ambito operativo della novella. Tempistica L’innovazione trova applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2020, con riferimento tuttavia a tutte le entrate non decadute o prescritte a tale data, quindi anche relativamente a tributi pregressi non ancora accertati. La tempistica dei nuovi accertamenti è la seguente: a) il termine per pagare le somme dovute coincide con quello della proposizione del ricorso; b) decorso il suddetto termine l’atto acquista ope legis qualifica di titolo esecutivo; c) a decorrere dal trentunesimo giorno successivo alla scadenza del termine per ricorrere, il carico può essere affidato al riscossore, ma non è detto che lo sia in concreto. Una volta ricevuta la trasmissione del carico, il riscossore ne dà notizia al debitore, con raccomandata semplice o con mail; d) le azioni di recupero possono iniziare, in linea teorica, dopo 60 giorni dalla scadenza del termine di pagamento. Questo significa, in sostanza, che, laddove il riscossore dovesse ricevere in carico la pretesa allo scadere del termine di legge, questi dovrebbe comunque attendere ulteriori 30 giorni prima di procedere. Nella realtà, non sarà sempre così. Sono infatti previsti degli oneri informativi che possono anche assumere natura di vero e proprio obbligo, condizionante la legittimità della procedura di recupero. Comunicazioni tra riscossore e contribuente Va infatti evidenziato che, già ai sensi dell’art. 1, comma 544, legge n. 228/2012, prima di promuovere le operazioni di riscossione coattiva, per somme non superiori a 1.000 euro, occorre inviare per posta ordinaria il dettaglio degli importi dovuti con la relativa causale e attendere 60 giorni (il termine originario di 120 giorni è stato dimezzato con la legge n. 160/2019). Inoltre, è disposto innovativamente rispetto alla omologa procedura vigente per i tributi statali, che per il recupero di somme non superiori a 10.000 euro, le azioni cautelari ed esecutive devono essere precedute dall’invio di un sollecito di pagamento, contenente l’intimazione a versare le somme dovute entro 30 giorni nonché l’avvertenza che, in difetto, si provvederà agli atti esecutivi. Si ritiene che la ratio di tale adempimento sia quella di prevenire eventuali azioni esecutive “a sorpresa”, eseguite cioè senza che la notifica dell’atto di accertamento propedeutico sia andato a buon fine. Tenuto conto del fatto che gli accertamenti dei tributi comunali possono sempre notificarsi tramite raccomandata postale AR, una simile eventualità non può essere esclusa. Ne dovrebbe conseguire che l’invio del suddetto sollecito, diversamente da quanto valevole per l’informativa prevista per somme non superiori a 1.000 euro, ha portata condizionante la legittimità delle successive attività di recupero. La dinamica delle comunicazioni tra riscossore e contribuente prevede pertanto l’invio dei seguenti tre documenti: i) l’informativa della presa in carico della pretesa; ii) il dettaglio delle somme dovute, per importi non superiori a 1.000 euro; iii) l’intimazione a pagare entro 30 giorni, per somme non superiori a 10.000 euro. In caso di importi non superiori a 1.000 euro, a stretto rigore, i due obblighi comunicativi si dovrebbero cumulare, con l’effetto che, in pratica, le azioni di recupero non potranno iniziare prima di 90 giorni (60 giorni dal dettaglio di “ruolo” e 30 giorni dalla intimazione) dalla presa in carico, assumendo altresì che l’incaricato della riscossione si attivi immediatamente dopo la ricezione del flusso da parte del comune. La legittimità della disciplina dell’aggio Si osserva da ultimo che la riforma della riscossione dei tributi comunali pone con forza, all’attenzione degli interpreti e dei giudici, il problema della legittimità della disciplina dell’aggio spettante all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Ed invero, ai sensi dell’art. 1, comma 803, legge n. 160/2019, qualora la riscossione dei tributi comunali venga effettuata in proprio dal comune oppure da un privato da questi incaricato ai sensi di legge, gli oneri di riscossione sono pari, al più, al 6% delle somme, con un tetto massimo in valore assoluto di 600 euro. Al contrario, l’agente della riscossione non ha alcun limite di importo, con l’effetto che il contribuente si vedrà addebitare costi anche molto più elevati, qualora il comune si sia rivolto all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. In proposito, si è dell’opinione che, poiché la natura dell’aggio è quella di una refusione delle spese sostenute, ad esso deve essere apposto un limite in valore assoluto, diversamente la pretesa si appaleserebbe illegittima, accostandosi ad una prestazione di carattere para tributario, senza tuttavia che ricorrano le condizioni di cui all’art. 53 della Costituzione. La novella qui commentata dovrebbe pertanto accelerare un intervento legislativo di portata più generale.