Il giudice chiamato a decidere sull’accertamento dei soci relativo alla distribuzione di utili occulti non è obbligato a sospendere il processo in attesa dell’esito della controversia concernente gli avvisi emessi a carico della società. Lo ha statuito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27164 depositata il 22 settembre 2023. La presunzione di distribuzione degli utili extra contabili nelle società di capitali a ristretta base proprietaria origina da accertamenti emessi nei confronti della società e dei singoli soci. Sussiste infatti un rapporto di pregiudizialità logica posto che l’accertamento nei confronti del socio ha la sua premessa nell’accertamento nei confronti della società (Cass. n. 8150/2013). La giurisprudenza ritiene già da tempo che non sussista il litisconsorzio necessario fra i soci e la società (Cass. 25 maggio 2016 n. 10793 e Cass. 2 dicembre 2015 n. 24572). Allo stesso modo, ci sono pochi dubbi in relazione alla necessità che, per applicare la presunzione ai soci, occorra un valido accertamento in capo alla società, senza che lo stesso sia per forza di cose definitivo (Cass. 6 aprile 2017 n. 8988 e Cass. 12 settembre 2017 n. 21157). Viste le evidenti interconnessioni fra i due accertamenti, la giurisprudenza si è chiesta se il giudice chiamato a decidere sul ricorso del socio debba o meno attendere l’esito di quello della società. Prima di analizzare la questione, si osserva che in caso di mancata impugnazione dell’accertamento da parte della società è necessario lasciare impregiudicata la possibilità del socio di sindacare il merito (C.T. Reg. Milano, sez. Brescia 26 maggio 2014 n. 2797/67/14). Nell’ipotesi in cui la società impugni l’atto, invece, già in passato la Cassazione aveva concesso al socio la possibilità di fare richiesta di sospensione del processo, alla luce della pregiudizialità fra le cause ai sensi dell’art. 39 del DLgs. 546/92 (Cass. 25 maggio 2016 n. 10793, Cass. 6 aprile 2017 n. 8988). Nel caso di pendenza della lite in appello, la sospensione può avvenire ex art. 337 c.p.c., non è obbligatoria ma rientra nella discrezionalità del giudice (Cass. 24 maggio 2018 n. 12900). L’ordinanza in commento supera il pregresso orientamento alla luce della pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite 29 luglio 2021 n. 21763, che conferma sostanzialmente l’impostazione adottata dalle Sezioni Unite con la sentenza 19 giugno 2012 n. 10027. Le Sezioni Unite del 2021, in una decisione resa con riferimento al processo civile, affermano che, fatti salvi i casi in cui è imposta da una norma specifica, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336, secondo comma, c.p.c. In base a quest’ultima disposizione – che trova applicazione nel caso di specie – la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata. Così ragionando, dunque, è possibile ristabilire ex post l’armonia dei giudicati senza introdurre ipotesi di sospensione necessaria al di fuori di quelle previste dal legislatore.