Vendita tartufi: spetta il rimborso Iva sugli acquisti

È ammesso il rimborso dell’IVA assolta sull’acquisto di tartufi da raccoglitori occasionali, per il quale, sino al 31 dicembre 2016, vigeva il regime di indetraibilità ai sensi della L. 311/2004. Il mancato riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA gravante su tali acquisti (e l’assolvimento dell’imposta da parte del cessionario mediante autofattura) si era, infatti, rivelato incompatibile con il diritto unionale e la predetta disposizione è stata abrogata. A tali conclusioni è pervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23998 del 7 agosto 2023. Ricostruendo il quadro normativo, si rammenta che l’art. 1 comma 109 della L. 311/2004 prescriveva ai soggetti passivi che, nell’esercizio d’impresa, acquistavano tartufi da raccoglitori occasionali (privi di partita IVA), di assolvere l’imposta emettendo un’autofattura, senza la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione. La particolare disciplina risultava incompatibile con la direttiva 2006/112/Ce, sotto diversi profili (evidenziati nella circ. Agenzia delle Entrate n. 8/2009): - la cessione di tartufi effettuata da raccoglitori occasionali privi di partita IVA non può rientrare nel campo di applicazione dell’imposta, poiché il cedente non è un soggetto passivo; - non può ritenersi coerente con le disposizioni della richiamata direttiva una normativa che impone all’acquirente di emettere un’autofattura e, al contempo, nega il diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e servizi effettuati. Era stata, inoltre, avviata una specifica procedura di infrazione nei confronti dell’Italia da parte della Commissione Ue (caso EU-Pilot 8123/15/TAXU). Nelle motivazioni della Suprema Corte, peraltro, emerge come la descritta disciplina contravvenisse al principio di neutralità dell’IVA, minando “il fisiologico funzionamento dell’imposta che, per sua natura, deve colpire i consumi e non può gravare sui soggetti passivi”. È stato osservato che le disposizioni derogatorie al riconoscimento del diritto alla detrazione per i soggetti passivi “ove non preesistenti all’entrata in vigore della sesta direttiva (avvenuta in Italia il 1° gennaio 1979), devono essere interpretate restrittivamente, limitate nel tempo, destinate ad ovviare alle conseguenze di una situazione congiunturale e, per definizione, non possono essere di natura strutturale” (si veda anche Corte di Giustizia, causa C-409/99). L’introduzione di un limite al diritto alla detrazione dovrebbe, altrimenti, avvenire previa consultazione del Comitato IVA (art. 177 della direttiva 2006/112/Ce) ovvero a seguito di una specifica autorizzazione del Consiglio Ue, su proposta della Commissione (art. 395 della citata direttiva). Alla luce di queste contraddizioni (nonché in risposta alla procedura di infrazione pendente), il legislatore nazionale ha provveduto, con l’art. 29 della L. 122/2016, a eliminare gli obblighi di autofatturazione e di versamento dell’IVA da parte dei soggetti passivi cessionari, con effetti dal 1° gennaio 2017. Si era posto, quindi, il tema del possibile rimborso del tributo versato (per gli anni sino al 2016) da parte dei soggetti passivi che avevano acquistato tartufi da rivenditori occasionali, in conseguenza del previgente regime di indetraibilità. Nel caso oggetto della pronuncia, il rimborso – chiesto da una società operante nel settore della trasformazione e commercializzazione dei tartufi – era stato negato dagli Uffici, motivo per cui si era avviato un contenzioso giunto sino in Corte di Cassazione. Al termine dei gradi di giudizio veniva riconosciuto il diritto al rimborso nei confronti della società (per gli acquisti effettuati negli anni 2015 e 2016), dovendo disapplicarsi la norma nazionale (art. 1 comma 109 della L. 311/2004), anche nel periodo in cui era ancora vigente, poiché incompatibile con le disposizioni della direttiva 2006/112/Ce relative al diritto alla detrazione dell’IVA ed essendo queste ultime immediatamente applicabili nell’ordinamento interno, “in quanto sufficientemente chiare, precise e incondizionate” (Cass. n. 4419/2003; Corte di Giustizia, causa C-10/92 e causa C-369/2009; Corte Cost. n. 389/1989). La Cassazione evidenzia che, secondo la costante giurisprudenza unionale, lo Stato membro è tenuto, in termini generali, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione (Corte di Giustizia, cause da C-192/95 a C-218/95; causa C-591/10), se si osserva che il diritto al rimborso “costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni del diritto dell’Unione”. Infine, la domanda di rimborso dell’IVA indebitamente versata rientra nell’ambito del diritto alla ripetizione dell’indebito, il quale “è inteso a rimediare alle conseguenze dell’incompatibilità dell’imposta con il diritto dell’Unione, neutralizzando l’onere economico che ha indebitamente gravato l’operatore che, in definitiva, l’ha effettivamente sopportata”.

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