Negli ultimi anni abbiamo assistito a una sempre maggiore diffusione del welfare aziendale, ovvero l’erogazione di beni e servizi non solo come strumento di conciliazione vita lavoro, ma anche come strumento di attrazione nel mercato di lavoro, fidelizzazione dei lavoratori e come leva di riduzione del costo del lavoro a carico azienda. È indubbio, però, che il welfare ha trovato ampia diffusione anche come strumento alternativo rispetto al riconoscimento di beni e servizi esenti fino a 258,23 euro, così come previsto dall’art. 51, co. 3, del TUIR. Per il welfare aziendale, ad eccezione di alcuni beni e servizi specifici, la norma non prevede alcun limite nell’importo riconoscibile, esente da un punto di vista fiscale e previdenziale, alla generalità dei dipendenti o categorie omogenee, con il conseguente beneficio da parte dei lavoratori. La legge di Bilancio 2024 ha previsto per il solo anno 2024 l’innalzamento del limite ordinario dei beni e servizi esenti dai “canonici” 258,23 euro su base annua a 1.000 euro, per la generalità dei lavoratori e con “upgrade” a 2.000 euro per i soli lavoratori con figli fiscalmente a carico. L’innalzamento del limite di esenzione lo rende pertanto potenzialmente più competitivo rispetto al welfare aziendale e ai suoi limiti generali? E con riguardo all’incentivazione del lavoratore, entro quali limiti posso utilizzare uno strumento o l’altro? Definizione di welfare e fringe benefits: le differenze Il primo aspetto fondamentale di distinzione riguarda la definizione. I fringe benefits sono una forma di retribuzione non monetaria, consistente nella concessione o messa a disposizione di beni e/o servizi al lavoratore. La fonte istitutiva è la contrattazione individuale ovvero la volontarietà da parte del datore di lavoro. Con il termine welfare aziendale, secondo l’Agenzia delle Entrate, si intende l’insieme di benefici e prestazioni erogato ai dipendenti nell’intento di integrare la componente meramente monetaria della retribuzione sia in funzione di sostegno al reddito sia in funzione di miglioramento della vita privata e lavorativa. Destinatari Per quanto riguarda i destinatari, dalla lettura della norma emergono le prime differenze tra i due istituti. I fringe benefits, tra i quali rientrano i beni e servizi fino a 1.000/2.000 euro, possono essere riconosciuti o contrattualizzati anche con il singolo lavoratore. Il nuovo limite di esenzione di 1.000/2.000 euro per il solo anno 2024 e in sostituzione dell’ordinario valore di 258,23 euro può essere riconosciuto anche al singolo lavoratore come trattamento ad personam; su tale aspetto, si ricorda che l’Agenzia delle Entrate, con le circolari nn. 52/E/2008 – 35/E/2022 e da ultimo con la circolare n. 23/E/2023 ha chiarito che i fringe benefits di cui all’art. 51, comma 3, del TUIR, possono essere corrisposti dal datore di lavoro anche al singolo lavoratore. Discorso diverso riguarda, invece, il welfare aziendale, per il quale il legislatore subordina il requisito dell’esenzione fiscale e previdenziale alla sussistenza di due requisiti fondamentali. Il primo requisito riguarda la modalità di messa a disposizione del paniere di beni e servizi: in particolare la norma richiede che i beni e servizi siano offerti, concessi o messi a disposizione. L’uso dei termini utilizzati non è casuale come vedremo in seguito. Per quanto riguarda il secondo requisito, la norma prevede che il beneficio ai fini dell’esenzione fiscale e previdenziale lato azienda e lavoratore è subordinato al fatto che il piano welfare sia messo a disposizione delle generalità dei dipendenti ovvero di categorie omogenee. Come più volte ribadito dall’Agenzia, il concetto di categorie omogenee non va limitato a quello di categoria legale (impiegati, quadri, operai), ma bensì a un insieme di lavoratori connotati da determinati elementi comuni. Incentivazione dei lavoratori Essendo una forma di retribuzione, seppur in forma non monetaria, il fringe benefit può assumere anche natura indubbiamente incentivante nei confronti del lavoratore e come politica retributiva del datore di lavoro. Per quanto riguarda, invece, il welfare aziendale, si tratta dell’erogazione o messa a disposizione di beni e servizi come obbligo di natura contrattuale o come atto volontario del datore di lavoro. La fonte istitutiva del welfare aziendale, infatti, risulta essere il contratto, il regolamento aziendale, l’unilateralità (riconoscimento come atto unilaterale, non formalizzato, da parte del datore di lavoro). Il welfare aziendale non può, a differenza dei fringe benefits, assumere natura incentivante pura ovvero essere subordinata la sua messa a disposizione a una controprestazione lavorativa richiesta al lavoratore destinatario. Su tale tema si segnala la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 55/2020, con la quale ha dato riscontro a una istanza di una società che intendeva adottare un piano welfare a carattere premiale e incentivante per l’accrescimento della motivazione dei propri dipendenti. Secondo il quesito posto, il piano ipotizzato dalla società doveva essere rivolto ai lavoratori appartenenti all’area aziendale “Service” e a quelli il cui luogo di lavoro è identificato in “Headquarter”, con almeno 2 anni di anzianità di servizio in azienda, alla data del 31/12/2018, e con un orario di lavoro giornaliero di almeno 6 ore. Il Piano welfare sarebbe stato attivato con due distinti regolamenti aziendali che, al raggiungimento di un obiettivo minimo di fatturato per l’annualità 2019, avrebbe riconosciuto ai citati dipendenti un credito welfare per l’anno 2020 da utilizzare attraverso una specifica piattaforma web che avrebbe consentito ai destinatari la fruizione di utilità specificatamente individuate. La posizione dell’Agenzia evidenzia che: - qualora tali benefits rispondano a finalità retributive (ad esempio, per incentivare la performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione; - si ritiene coerente con la portata dei commi 2 e 3, dell’art. 51, del TUIR, il piano welfare che premia i lavoratori dell’azienda che abbiano incrementato il proprio fatturato, con una graduazione dell’erogazione dei benefits in base alla Retribuzione Annuale Lorda; - non appare in linea con le medesime disposizioni una ripartizione effettuata in base alle presenze/assenze dei lavoratori in azienda oppure una erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile dei lavoratori. Si ricorda che l’eventuale possibilità di subordinare il welfare al raggiungimento di determinati obiettivi ovvero l’istituzione di un welfare premiale ad oggi è riconosciuta solo nel caso di premio di risultato: PDR che prevede, al raggiungimento di determinati obiettivi incrementali di produttività, redditività, qualità, innovazione, che il lavoratore possa beneficare di una somma di ammontare variabile da assoggettare a una imposta sostitutiva all’IRPEF e alle addizionali comunali e regionali del 10% (per il solo anno 2024 ridotta al 5%); in sostituzione del premio in denaro, la norma prevede (e solo in questo caso) la possibilità, qualora previsto dall’accordo e a scelta del lavoratore, la possibilità di convertire il valore del premio detassato in beni e servizi di welfare; in caso di tale opzione, il valore lordo del premio convertito non è assoggettato a contribuzione a carico del lavoratore e ad imposta sostitutiva, con la conseguenza che deve intendersi spendibile al netto.