La coscienza sociale dell’impresa entra nel vivo. Il D.Lgs. n. 24/2023 ha introdotto uno specifico adempimento in materia di whistleblowing in scadenza il 17 dicembre 2023. Il disposto normativo, che si rivolge alle aziende che abbiano occupato nel corso dell’anno precedente almeno cinquanta dipendenti, viene adottato nell’ordinamento italiano su impulso dell’Unione Europea (dir. 2019/1937) ed è finalizzato alla tutela dei lavoratori che, nell’ambito di applicazione della norma, effettuino segnalazioni relativamente a violazioni di leggi nazionali o comunitarie idonee a ledere l’interesse pubblico o l’integrità dell’ente privato presso le quali lavorino. Ambito di applicazione e modalità di computo dei cinquanta lavoratori Come disposto dall’art. 2, lett. q) del D.Lgs. n. 24/2023, si ritengono assoggettate all’obbligo di adempimento in materia di whistleblowing le aziende che: a) abbiano occupato, nel corso dell’anno precedente, una media di almeno cinquanta lavoratori (inclusi i soggetti assunti con contratto di lavoro a tempo determinato); b) pur non avendo raggiunto il requisito dimensionale, operino in determinati settori, ritenuti sensibili (es. bancario, credito, assicurativo) oppure si qualifichino come Pubblica Amministrazione; c) pur avendo occupato meno di cinquanta lavoratori nel corso dell’annualità precedente, rientrino nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2001 e adottino un Modello di organizzazione, gestione e controllo (MOG). Una delle tematiche da attenzionare maggiormente verte sul concetto di cinquanta lavoratori e sulle modalità di calcolo a loro riferite. In effetti il D.lgs n. 24/2023 dispone come sia necessario fare riferimento all’anno solare precedente a quello in corso, salvo per qui datori di lavoro di nuova costituzione per i quali si dovrà considerare il periodo di “nascita” degli stessi. Banalmente, per l’anno in corso, considerando la scadenza al 17 dicembre dovrà considerarsi il 2022, in quanto annualità precedente rispetto a quello di entrata in vigore della norma. Peraltro, sul punto è intervenuta anche l’ANAC sancendo come il periodo utile per conteggiare la media dei lavoratori sia fissato al 31 dicembre. Se la norma, come pocanzi spiegato, sembra individuare un metodo per la soglia dei cinquanta dipendenti, permangono dei dubbi rispetto alla posizione dell’ANAC edita il 12 luglio 2023 (sulla quale, nel tentativo di dirimere la questione, è intervenuta anche Confindustria). L’associazione in trattazione, in effetti, ha sottolineato come il calcolo del computo dei lavoratori debba fare riferimento all’art. 27 del D.lgs n. 81/2015, secondo cui “ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro”. Diversamente l’ANAC, con proprie linee giuda approvate con delibera n. 311 del 12 luglio 2023, riferisce come “ai fini del calcolo della media dei lavoratori impiegati negli enti del settore privato deve farsi riferimento al valore medio degli addetti (elaborazione dati INPS) al 31 dicembre dell’anno solare precedente a quello in corso, contenuto nelle visure camerali. Quando l’impresa è di nuova costituzione, considerato che il dato in questione viene aggiornato trimestralmente, va preso come riferimento il valore medio calcolato nell’ultima visura”. In sintesi, secondo l’Autorità Nazionale Anticorruzione il calcolo dovrà effettuarsi per teste, considerando il numero di addetti a prescindere dall’effettiva durata dei rapporti di lavoro e/o dal concetto di part time (o di apprendisti che, diversamente, potrebbero ritenersi esclusi dalla base di computo della disciplina in trattazione). Volendo valutare la ratio dell’istituto in parola, sembra preferirsi la scelta dell’ANAC, più conferente rispetto alla necessità del whistleblowing ed alle sue prerogative rispetto ad una posizione che vuole computare i lavoratori in una visione più di “adempimento” che di sostanza. Adempimenti del datore di lavoro in materia di whistleblowing L’obbligo introdotto dal D.Lgs n. 24/2023 impone, nei confronti delle aziende individuate al capoverso precedente, la necessità di attivare un canale o di rendere disponibile una piattaforma attraverso la quale i propri dipendenti (o, più in generale, i lavoratori) possano comunicare in modo anonimo e “protetto” gli eventuali illeciti e, di conseguenza, possano essere gestite e prese in carico le relative segnalazioni pervenute alla società. Il canale, che deve disporre di determinate caratteristiche e requisiti tecnici, al fine di garantire la riservatezza dei dati trattati e la tutela della privacy dei lavoratori “segnalanti”, può essere alternativamente gestito: - da una persona o da un ufficio interno alla società, con personale specificamente formato a ricevere le segnalazioni prodotte; - da un soggetto esterno, anch’esso autonomo e formato. Oltre a gestire in senso stretto le segnalazioni pervenute, gli addetti alla piattaforma sono altresì tenuti: - a fornire delle informazioni chiare, puntuali ed accessibili (in un luogo aziendale oppure sul sito internet della Società) in merito all’esistenza della piattaforma e alle procedure da seguire per effettuare le dovute segnalazioni; Le informazioni dovranno quindi, ai fini dell’applicazione della norma in esame, essere affisse in un luogo accessibile ai dipendenti, come una bacheca, oppure dovranno essere pubblicate e rese note sul sito web dell’azienda in modo tale che siano consultabili ed accessibili alla platea di lavoratori; - a rilasciare una ricevuta di ricezione della segnalazione al soggetto interessato entro sette giorni; - a fornire un adeguato riscontro alla segnalazione ricevuta entro tre mesi dall’avviso di ricezione o, in sua assenza, entro tre mesi e sette giorni dalla sua presentazione; - conservare le segnalazioni per il tempo necessario al trattamento della segnalazione e, in ogni caso, non oltre i cinque anni dalla data di esito/riscontro. Quali segnalazioni? Per quanto attiene al carattere delle segnalazioni, queste devono riguardare la sospetta violazione di disposizioni normative nazionali o comunitarie che siano idonee a ledere “l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato”, oltre ad ulteriori comportamenti lesivi di un interesse o di un diritto legittimamente riconosciuti. In generale, l’art. 2 definisce segnalabili tutti quei comportamenti di cui il lavoratore viene a conoscenza con riferimento al contesto lavorativo che viene definito ed individuato nelle “attività professionali (…) attraverso le quali una persona acquisisce informazioni sulle violazioni e nel cui ambito potrebbe rischiare di subire ritorsioni in caso di segnalazione”. Anche per tale ragione, a poter effettuare segnalazioni non sono solamente i lavoratori subordinati ma, come illustrato dall’art. 3, vengono ricompresi nel novero dei potenziali “whistleblowers” anche i lavoratori autonomi, i collaboratori, i liberi professionisti ed i consulenti, i volontari e i tirocinanti (retribuiti e non), gli azionisti e le persone con funzioni di amministrazione e controllo, ampliando così notevolmente la platea di soggetti cui è rivolto il canale di segnalazione e le relative tutele. A titolo esemplificativo, le tutele che il Legislatore riserva alla categoria dei cosiddetti “whistleblowers”, individuate nell’art. 17 del decreto legislativo, si estrinsecano nel divieto, strettamente legato alla presenza di segnalazioni: - di licenziare o sospendere il lavoratore; - di retrocederlo o di non promuoverlo, per le sole ragioni legate alla presenza di segnalazioni; - di discriminarlo o di corrispondergli un trattamento meno favorevole; - di emettere, nei suoi confronti, note di merito negative o referenze negative. Ovviamente tali azioni sono idonee a qualificarsi come ritorsive solo laddove sia presente un effettivo collegamento con la qualifica di whistleblower” del lavoratore e deve dunque esse presente un nesso di causa effetto con il provvedimento o il trattamento adottato da parte della società e il fatto che il lavoratore abbia usufruito del canale a disposizione per effettuare segnalazioni. Per quanto attiene all’onere probatorio, il segnalante deve dimostrare di aver effettuato una comunicazione sul canale o piattaforma messa a disposizione dell’azienda e, al contempo, dimostrare di aver subito un danno. Sarà poi, in concreto, il datore di lavoro a dover dimostrare che le condotte o il provvedimento adottato siano da imputarsi a cause esterne e diverse rispetto a quelle oggetto di applicazione della norma in esame.